GLI ORMONI DI EYMERICH
I
Per Eymerich
era stata una giornata da dimenticare. Un rogo di eretici a Saragozza, un
interrogatorio ad un ebreo convertito in cui, suo malgrado, aveva dovuto
ricorrere alla tortura, ed infine la fustigazione di un negromante borgognone
ed il rogo dei suoi grimori nel cortile del castello. Fare l'Inquisitore era un
lavoro sporco ma, come ripeteva spesso Papa Gregorio IX, qualcuno doveva pur
farlo. Purtroppo la giornata non era ancora finita. Rabbrividendo per il freddo
e l'umidità, si avviò verso la viscida scalinata che conduceva alle prigioni.
Dopo lunghe indagini aveva accertato la presenza di un'oscura setta di
adoratrici di Satana, la cui sacerdotessa reclutava adepte fra la servitù del
castello. Le aveva naturalmente torturate tutte, ma con una certa delicatezza e
distogliendo lo sguardo. Infatti, al contrario del suo assistente, Padre Jari,
non amava indulgere in simili pratiche a ultimamente avvertiva strani
turbamenti, indegni di un servitore della Chiesa. Ora aveva da occuparsi della
principale indiziata, ed in particolare doveva sottoporla ad una visita molto
accurata, per rintracciare il sigillo che il maligno aveva senza dubbio
impresso sul suo corpo. Sbuffò ed ordinò alla guardia di aprire il pesante
catenaccio.
La cella era buia ed
opprimente, e neanche la torcia portata dalla guardia valeva a rischiararla.
Eymerich scrutò le
pareti per accertarsi che non vi fossero insetti immondi e, soddisfatto,
congedò la guardia con un brusco cenno della mano. Il volto della donna era in
ombra, ma riuscì ad intravederne le gambe, snelle e ben tornite. Per un attimo
si meravigliò di notare certi particolari, ma certo molti anni di severa
castità cominciavano a far sentire il loro peso. Irritandosi con se stesso, si
schiarì bruscamente la gola.
"Bene,
bene," esordì, "Certo saprai quello che ti aspetta."
La donna si
accovacciò sul misero pagliericcio, entrando nell'alone di luce diffuso dalla
torcia.
"Voi siete un Inquisitore,
se non mi sbaglio," rispose lei, con voce roca.
"Sono Nicolas
Eymerich," sbottò Eymerich, "Non mentite. Mi conoscete
benissimo."
"Vi conosco di
fama," rispose la donna, "in effetti non vedevo l'ora di incontrarvi.
Una mia vecchia amica, una certa Myriam, mi ha parlato molto bene di voi."
Eymerich rimase senza
fiato.
"Vi
assicuro," riuscì ad articolare, "che potreste pentirvene. Non temo
gli inganni del Maligno."
"E chi ha
nominato il Maligno? " rispose lei.
"Dunque Rebecca,
vorreste forse negare di essere una strega, e di adorare Satana?" disse
Eymerich.
"Assolutamente,"
rispose la donna, risentita.
"Siete una
giudea e per me, come per ogni buon cristiano, stregoneria e giudaismo sono
sinonimi. Comunque lo vedremo," incalzò Eymerich. "Per quanto la cosa
mi ripugni, devo ordinarvi di togliervi quello straccio che indossate."
" Mmm..." mugolò la donna, "vedo
che non siete del tutto immune da pensieri lascivi."
Eymerich socchiuse
gli occhi per l’ira .
"Come
osate," disse gelido. "È prassi comune. Devo verificare la presenza
del marchio sul vostro corpo. Purtroppo il mio assistente, Padre Jari da
Bologna, è indisposto, e non potrà assistere all'operazione, come vorrebbe la
consuetudine."
"Volete dire
quel grosso frate che ho intravisto mentre venivo condotta qui?” rise lei.
"A me pareva si dirigesse verso il locale postribolo."
"Ehm..." fece
Eymerich imbarazzato, “Padre Jari è una vergogna per l'ordine domenicano e, se
dipendesse da me, sarebbe già arso sul ro...ehm...sarebbe stato espulso e mandato
ad ingrossare le fila di quei mezzi eretici dei francescani."
"Noto con
piacere che vi abbandonate alle confidenze.." disse Rebecca.
Eymerich la
schiaffeggiò bruscamente.
"Come vi
permettete," sbottò, "l'unica intimità che avrò con voi sarà quella
del fuoco! Non cercate di distrarmi con le vostre arti occulte. Vi ordino di
spogliarvi."
La donna si deterse
con il dorso della mano un sottile rivolo di sangue, che dal naso le scendeva
verso il labbro superiore.
Si alzò e si sfilò la
misera veste, che scivolò a terra ai piedi di Eymerich.
Domino (1)
Hugh Hefner III°
esaminò il paginone centrale del numero speciale di Playboy per le forze armate
Ariane del KKK, che stavano combattendo contro gli ultimi Stati Bolscevichi dell'Unione,
ancora in grado di opporre una certa resistenza militare. Niente donne di
colore, ovviamente, anche se lui ne conosceva un paio niente male, che
ufficialmente impiegava come domestiche. Niente ebree o asiatiche o tanto
peggio arabe. Solo roba WASP per i ragazzi del KKK. Eppure le pin‑up del
prossimo mese sembravano avere lontani lineamenti semiti, anche se i loro
certificati di nascita risultavano a posto. Avrebbero dovuto realizzare un
servizio fotografico in un' isola del Pacifico, tra una settimana. Guardò i
provini, sbadigliò e andò in cucina a versarsi una Sprite.
II
Eymerich, suo
malgrado, non riuscì a fare a meno di notare la perfezione del corpo di Rebecca:
seni non troppo accentuati, vita stretta e fianchi morbidamente sinuosi e gambe
lunghe, sotto la cui pelle dorata si indovinavano muscoli scattanti. Era dai
tempi del seminario, se si esclude l'episodio di Montiel, di cui conservava un
ricordo confuso, che non avvertiva un tale turbamento. Una volta, ancora
adolescente, aveva amoreggiato con una servetta nelle cucine del monastero: un
momento di cedimento imperdonabile che, aveva giurato a se stesso, non si
sarebbe mai più ripetuto.
"Dunque,"
disse, con un' intonazione smorzata che non gli piacque affatto, "Distendetevi
sul pagliericcio."
Rebecca ubbidì senza
parlare. Eymerich si avvicinò e, ad una certa distanza, cominciò a scrutarle la
base della nuca, il collo e le spalle .
"Dovete
avvicinarvi di più,” mugolò Rebecca, "se volete trovare qualcosa."
"Tacete,"
disse Eymerich, mentre goccioline di sudore cominciavano ad imperlargli la
fronte, "Non ho dubbi sulla vostra appartenenza al maledetto culto del
Maligno, mi serve solo una piccola prova."
"Se to
dite voi,” rispose lei, inarcando la schiena, "continuate pure a
cercare."
Eymerich si avvicinò
ancora di più a prese ad investigare accuratamente la zona tra le scapole, poi
scese lungo la schiena. Giunse al delizioso avvallamento in corrispondenza
dell'osso sacro, da cui si dipartivano due natiche bianche e perfette, e prese
ad accarezzarle con i polpastrelli.
"Come
Inquisitore, avete indubbie qualità," sussurrò Rebecca, "era tempo
che non sentivo un tocco così delicato."
"Ehm...."
disse Eymerich, "a volte il marchio si nasconde sotto pelle, e bisogna
avvertirne la presenza con le dita. Qui ad esempio avete un neo, che giudico
abbastanza sospetto."
"Ho molti
nei," rispose Rebecca, "Alcuni dei quali in luoghi che non avete
ancora esplorato. Per questo devo essere accusata di stregoneria?"
Eymerich non rispose,
ma avvicinò la testa ad un neo che spiccava sulla natica sinistra. Proprio in quell'istante
la porta si aprì di botto, a ne fece capolino un frate grasso e rubizzo.
"Magister!
" esclamò, "ma che state facendo?"
Eymerich si voltò di
scatto, adirato per l' interruzione.
"Sto conducendo
un'indagine a beneficio della Chiesa," ruggì, "lo stesso tipo di
indagine che voi esercitate a beneficio della vostra lascivia, più di quanto
sia acconcio alla tonaca che disonorate!"
Il grasso frate divenne ancora più rosso. Rebecca
ridacchiò e si coprì parzialmente con la tunica.
"Magister,"
biascicò, "sapete bene che sono stato indisposto. Del resto vedo che anche
voi..."
Eymerich gli lanciò
un'occhiata di odio feroce, e promise a sé stesso che quel frate indegno
sarebbe morto tra atroci dolori.
"Indisposto,
eh?" sbottò, "questa donna vi ha visto mentre conducevate il vostro
spregevole corpo verso il postribolo!"
"Ehmm…"
disse il frate, chinando la testa, "mi ha certamente confuso con qualcun
altro. Del resto come potete fidarvi delle parole di una giudea, per di più
strega?"
"Ne riparleremo,
non temete," disse Eymerich. "Piuttosto, avete scoperto qualcosa?"
Il frate estrasse
qualeosa da sotto la tonaca a la porse ad Eymerich che, perplesso, se la rigirò
tra le mani. Sembrava una statuetta di fattura arcaica.
"Era nella
stanza di quella strega," gli bisbigliò Padre Jari all'orecchio.
"Non ho mai
visto niente di simile," disse Eymerich. Si voltò verso Rebecca, che li
fissava con un sorriso indecifrabile.
"Voi certo ne
sapete qualcosa," disse .
Padre Jari ammiccò,
lanciando un'occhiata lubrica a Rebecca.
"Magister,"
intervenne, "Non mi dispiacerebbe continuare, in vece vostra, l'ispezione
sul corpo di questa giudea."
"Del
resto," continuò, dandogli di gomito, "conosco dei metodi molto
efficaci per farla confessare."
Eymerich si scostò
come se fosse stato morso da un serpente, afferrò il frate per la collottola e
lo scaraventò contro il muro.
"Ma siete
impazzito!" protestò quello.
"Mi avete
stancato!" disse Eymerich, torcendogli il polso con violenza. "Uscite
subito di qui e andate ad interrogare le altre serve. Il mio colloquio con
questa donna è riservato, e certo non si avvantaggerebbe della vostra presenza."
Padre Jari to guardò,
impaurito, ed uscì dalla cella, massaggiandosi il polso dolorante.
"Adesso
confesserete.", disse Eymerich.
Domino (2)
L'aereo
militare del KKK si stava abbassando verso la pista. Era riconoscibile dall'
insegna sulla fusoliera: la vecchia a ormai obsoleta bandiera americana con i
simboli del Klan, uno per ogni stato della Confederazione. Erano 42, ma presto
la Resistenza sarebbe stata annientata, a sarebbero tornati al loro numero
originale. Il pilota, un uomo abbronzato dai capelli biondi, bestemmiò e si
tolse di bocca una gomma da masticare, che mandò a far compagnia alle altre
sotto al sedile.
"Che hai detto?
" chiese il secondo pilota.
"Ho detto,"
ripetè l' altro, "che non mi spiego perché si debba perdere tempo a
trasportare delle conigliette di Playboy su una fottuta isoletta del Pacifico,
che non è neanche segnata sulle carte."
"E ti lamenti?
" disse il secondo, "a me non sembrano da buttar via.”
"OK, ma non mi
sono arruolato per questo, ma per purificare gli Stati Confederati da tutti i
luridi bolscevichi, i nigger a tutti gli altri bastardi. Una bella pallottola
in fronte, e via."
"Prendi il tuo
lavoro troppo sul serio."
"Dici? Comunque
sull'isola la pista di atterraggio non c'è. Dobbiamo atterrare qui e proseguire
in barca."
"Hai visto quel
tipo che si sono portati dietro? " ghignò il pilota.
"Mah, per me è
un maledetto deviato, e dovrebbero metterlo nei Kampi."
III
Appena Padre Jari fu uscito, Rebecca gettò la tunica in un angolo.
“Vorrete
continuare la vostra ispezione, immagino." disse.
Eymerich era
preoccupato. La donna non mostrava alcun segno di paura, nè di temerlo
minimamente. Forse, considerò, non aveva ancora ben compreso quale potere
implacabile egli servisse.
Si avvicinò alla
donna, incerto sul da farsi. Rebecca protese i seni verso di lui.
"Vedete", disse, "ho un piccolo neo sotto il capezzolo
destro."
"Ehm..." borbottò Eymerich, "lo vedo."
"E
anche qui, vedete, proprio sotto 1'ombelico," insistette.
"Che già di per
sé è il marchio del peccato originale," rispose Eymerich bruscamente, "fatemi sentire..."
Cominciò ad avvertire
un tremito che era convinto di aver domato per sempre, e sentì un improvviso
afflusso di sangue verso il basso ventre. Cercò di distrarsi recitandosi
mentalmente alcune massime di Padre Sprenger sull'intrinseca malvagità della
natura femminile, a dire il vero con risultanti alquanto insoddisfacenti.
Rebecca inarcò il
ventre verso di lui, mentre Eymerich ispezionava la zona attorno all'ombelico.
"Trovato
qualcosa? " sussurrò.
Eymerich
sentiva un forte cerchio alla testa, e le tempie gli pulsavano dolorosamente. Levò
la testa di scatto a si allontanò da quella carne così attraente.
"Dunque..."
iniziò, "per il momento possiamo mettere da parte...ehm....la questione
del marchio. Che mi dite di questa statuetta?"
"Oh, che
peccato," disse Rebecca, rammaricata. "Mi risulta che Bernardo Gui,
nel suo manuale, insista proprio su questo punto..."
"Non dite
assurdità!” sbuffò Eymerich, "e non parlatemi di quell'incompetente! Ci
penserò io a scriverne uno assai più utile ed attendibile. E poi, con i diritti
dovrei guadagnare all'incirca... Ma che mi fate dire! ! Allora, questa
statuetta?"
"Non l' ho mai
vista prima,” rispose Rebecca.
"Non negate.
Riconosco la malvagità che ne trasuda, come pus da una ferita infetta. È un
demone, non è vero?"
"Non saprei," disse Rebecca, sorridendo. "Certo, è piuttosto
ripugnante."
Eymerich l'afferrò per le spalle.
"State mentendo!"
le urlò, "quest'oggetto è stato trovato nella vostra stanza!"
"Mmm... noto che
sapete essere delicato, ma anche rude... un vero Inquisitore..." commentò
Rebecca.
"Vedete
questi strani rilievi?" disse Eymerich, "mi ricordano un nido di
serpi."
"Serpi?"
disse Rebecca, a bassa voce. " Forse un pò di analisi Reichiana vi
gioverebbe."
Eymerich la ignorò.
"Dite la verità,"
continuò imperterrito,"Avete riesumato le immonde credenze eretiche dei
Naasseni a degli Ofiti!!!"
"Vi ho detto che
non l'ho mai vista," disse Rebecca, ritraendosi istintivamente davanti
alla furia dell'Inquisitore.
"Giudea, eretica
a strega," concluse Eymerich, "non mi lasciate scelta. Dovrò sottoporvi
ad una quaestio, come le altre serve."
"Loro vi hanno
confidato qualcosa?" domandò Rebecca.
"No, ma sono
solo disgraziate creature ignoranti a confuse, anche se questo non le salverà
certo dal rogo," rispose Eymerich.
Si voltò e
bussò tre volte sulla porta della cella. Dopo qualche secondo un volto barbuto
e sfigurato da una cicatrice si affacciò dalla finestrella.
"Avete chiamato,
Padre?" chiese la guardia.
"Così
sembra," disse Eymerich irritato, "Andate da Padre Jari e ditegli di
prepararsi per una quaestio."
L'uomo annuì , chiuse
la finestrella e si allontanò.
Eymerich, confuso, si
rigirò la statuetta fra le mani, e provò ad esercitare pressione sui bordi. Non
accadde nulla.
Tentò allora con le
serpi, o quello che erano, e, al terzo tentativo udì un flebile scatto. Un
piccolo sigillo cadde sul pavimento di terra battuta. Eymerich lo raccolse per
esaminarlo: una specie di occhio dentro ad una stella a cinque punte. Ghignò a
lo fece scomparire in una delle ampie maniche della veste. Benissimo, si disse,
potrà tornarmi utile.
Domino (3)
Il gruppo di
mercenari saliva su per la collina, ricoperta da una fitta vegetazione. Si
facevano sorrisetti a gesti allusivi, sbirciando le modelle che, insieme alla
troupe e al fotografo, arrancavano con fatica. Il caldo e l'umidità erano
opprimenti. Il capogruppo giunse in cima al piccolo dosso e diede il segnale di
arresto.
Due tra i soldati più
anziani si accesero una sigaretta, sbuffando. Gli altri si accasciarono fra l'
erba alta, cercando di scacciare le zanzare, grosse come caccia dell'aviazione.
"Hai sentito che
puzza?" disse quello più grosso, la cui pelle cominciava ad arrossarsi
drammaticamente. "Sembra che qualcuno abbia scaricato su questa isola del
cazzo una tonnellata di pesce, e poi lo abbia lasciato un mese intero a marcire
al sole."
"Questa è la
missione più idiota della mia vita," rispose l'altro, "non come
quando si dava la caccia ai negri giù in Alabama. Quelli si che erano bei
tempi. Ogni tanto si bruciava anche qualche comunista. Chi se ne fotte della
pin‑up Ariana del mese per le forze armate..."
L'altro si slacciò i
primi bottoni della mirnetica, respirando rumorosamente. "Non avrai
creduto a questa stronzata?" disse, sedendosi.
"Perché?" rispose
l'altro, interdetto, "che vuoi dire?"
“Lo sanno tutti che è
una copertura per sviare le spie degli Stati Bolscevichi," grugnì, "Lo
vedi quel tipo vestito di nero che sembra un maledetto prete mormone?"
"Il fotografo?
" chiese, sbuffando fuori il fumo.
"Fotografo un
cazzo," disse, "quel bastardo è un fottuto Psico‑Evocatore di
Archetipi Post-Junghiani. E quelle tre tipe sono le sue assistenti."
"Un
cosa?" replicò l'altro. "Non c'ho capito niente, anche se una delle
assistenti è davvero un bel tòcco e me la farei volentieri. Ad ogni modo chi se
ne frega. Sai cosa siamo venuti a fare in questa isoletta del cazzo?"
II tipo grosso schiacciò
il mozzicone a terra con l'anfibio.
"Siamo venuti a
trovare quello che ci permetterà di annientare una volta per tutte quei
finocchi che non apprezzano il nuovo ordine mondiale," disse, " la
nostra Arma Fine di Mondo."
IV
Eymerich
osservò la camera di tortura con espressione annoiata. Gli interrogatori di
Padre Jari non avevano avuto alcun esito, come d'altronde c'era da aspettarsi.
Anzi, due delle prigioniere si erano lamentate con lui del fatto che l'indegno
domenicano si fosse dimostrato più solerte del dovuto durante le ispezioni
corporali. Il notaio era al suo posto, così come il carnefice, due serve erano
legate ai cavalletti, ed il governatore della città , un vecchio obeso e palesemente
arteriosclerotico, sedeva su uno scranno con lo sguardo perso nel vuoto. Padre
Jari ballonzolava di qua a di là, cercando vanamente di rendersi utile.
"Che
dite Magister," disse in tono untuoso, "possiamo cominciare la
seduta?"
Eymerich lo allontanò
con un gesto, come si fosse trattato di un moscone fastidioso e si rivolse al
governatore.
"Siete
pronto per iniziare?" domandò.
Il
governatore lo fissò, con aria smarrita.
"Come dite
Padre?" biascicò. "Iniziare cosa? Ah, già...l'interrogatorio di
queste eretiche...Fate pure, basta che non mi facciate arrivare in ritardo per
la cena. Questa sera ho ordinato di cuocere un cinghialetto proprio buono... che
con la composta di mele… ehmm… fate, fate, tanto di queste questioni astruse io
non capisco niente.."
Vecchio coglione,
pensò Eymerich.
"Andate a
prendere la strega ebrea," disse a Padre Jari, "e mi raccomando,
tenete le mani a posto."
Padre Jari s'imporporò.
"Magister," disse stizzito, "come potete pensare che io... un
religioso..." Eymerich
lo fulminò con lo sguardo.
"Mi sono giunte
delle lamentele sul vostro conto," disse. "Non fate finta di non
capire quello che intendo. Adesso andate."
Padre Jari non
rispose, e ballonzolò giù per le scale, verso le celle. Riflettendo
intensamente, si avvicinò al governatore.
"Dovete sapere," iniziò, "che in questo castello si
pratica un culto diabolico..."
"Sì, sì, va
bene," lo interruppe il governatore, "Voi Inquisitori vedete il
diavolo dappertutto... e intanto il mio cinghialetto aspetta... così sugoso... saporito..."
Eymerich fece uno
sforzo per controllarsi a non saltare alla gola del vecchio. "Ho le prove
di quanto affermo," riprese, "credo che siano coinvolte queste due
serve a quella giudea, Rebecca. So che siate uno strenuo difensore della
Cristianità, ed allora...".
"Che volete che
m'importi," piagnucolò il vecchio, "torturatele pure… bruciatele...
impiccatele... scorticatele... arrostitele... soprattutto arrostitele... insomma,
fate il vostro lavoro. Già vedo il cinghialetto che si raffredda... le patate
arrostite... tutto da buttare... da
dare ai cani..."
Eymerich estrasse
dalla manica la statuetta.
"Quest' oggetto
diabolico," disse con una certa enfasi, "è stato trovato nella stanza
di Rebecca. Ne sapete niente?"
"È commestibile?"
s'informò il governatore.
Eymerich mandò un'imprecazione
fra i denti e s'avvicinò ad uno dei due cavalletti, dove una donna mostrava i
segni di giorni di denutrizione e maltrattamenti.
"Lo avete mai
visto?" domandò, placido. La donna scosse il capo, senza parlare. Eymerich
fece un cenno al carnefice, un uomo esile e stranamente mingherlino per la sua
professione, che annuì e diede un giro di ruota.
Eymerich
udi distintamente il suono secco delle giunture che si spezzavano.
"Allora?" disse,
chinandosi sulla donna, "quest'oggetto che voi venerate appartiene al
vostro culto esecrando, non è vero?"
La donna gli sputò in
faccia.
Proprio in quell'
istante si udì un grido disperato.
Eymerich riconobbe
all'istante la voce stridula di Padre Jari. Si pulì la saliva dal viso a si
lanciò verso la porta.
Il grasso frate quasi
lo investì in pieno.
"Magister!
Magister!" urlò, "è successa una cosa terribile!"
Eymerich lo afferrò
per il saio e lo scosse come una marionetta. "Di che parlate,
incapace," ruggì, "cosa avete combinato?"
"La
prigioniera," ansimò il frate, “la prigioniera è fuggita!"
Eymerich divenne
rosso di collera. Lo gettò a terra a cominciò a prenderlo a calci.
"Fuggita, eh?
" disse, "e com'è successo? C'entrano per caso quei graffi che adornano
la vostra faccia?"
"Ahi, Magister,
mi fate male," piagnucolò l'altro, raggomitolandosi a terra, "non so,
mi ha aggredito mentre stavo per condurla qui... mi ha colpito in testa con
qualcosa di pesante..."
"A giudicare dai
segni che avete addosso," disse Eymerich, "avrete tentato di
prendervi qualche libertà nel frattempo, non è vero?"
"Ah...Magister...
che dolore... che male," disse Padre Jari, "vi prego, smettete di
colpirmi... mi spezzate le costole.."
Eimerich gli sferrò
un nuovo e più potente calcio.
"Siete una
vergogna per tutta la cristianità!!!" imprecò, "avanti, confessate!"
Padre Jari scoppiò a piangere, contorcendosi dal dolore.
"Ah... che
male... Magister...va bene... confesso... dirò tutto ‑ non ho resistito... è
vero, ho cercato di prenderla con la forza e lei mi ha colpito... smettete, vi
prego..." riuscì a dire.
"E dov' è
andata?" chiese Eymerich.
"Non so,
Magister.. capite... ero svenuto..." piagnucolò il frate.
Eymerich si tirò su e
cercò di far sbollire la rabbia. Era la prima volta, in tanti anni di onorata
carriera, che falliva nel portare a termine un indagine. E per colpa di un
monaco imbecille, poi, ed alle soglie della pensione. La sua reputazione
avrebbe potuto subirne un grave smacco. Non poteva permetterlo. Sorrise
malignamente a si chinò verso Padre Jari.
"Venite,"
disse, "Mi fate pena. Vi aiuterò ad alzarvi."
Lo prese sotto le
braccia e, fulmineo come una serpe, gli nascose nel cappuccio il sigillo
trovato nella statuetta.
V
Eymerich sollevò la torcia ed esaminò la piccola cella. Le guardie all'ingresso
non avevano visto uscire Rebecca e quindi la donna avrebbe ancora dovuto
trovarsi nei sotterranei: eppure le altre celle erano tutte sbarrate, ed il
lungo corridoio era senza uscite, a parte la scala da cui lui stesso proveniva.
Smosse con una certa diffidenza la paglia del lercio giaciglio in cerca di
qualche indizio, ma non trovò nulla. Raccolse da terra una grossa pietra che,
presumibilmente, la donna aveva utilizzato per colpire Padre Jari e se la rigirò
tra le mani, pensieroso. Mentre stava per uscire notò con la coda dell'occhio
degli strani segni geometrici tracciati sul muro, in corrispondenza dell'angolo
di sudovest. Si inginocchiò e li esaminò, avvertendo un profondo senso di
malessere.
Non aveva mai visto
nulla di simile, nemmeno nell'abominevole PicatriX: tratti di vari colori si
intersecavano fra di loro, creando geometrie assurde e malevole. Eymerich ebbe
un improvviso attacco di nausea, e sentì un forte giramento di testa. Ebbe la
strana sensazione che il muro di fronte a lui si stesse dissolvendo nel nulla.
Gli arrivò una forte zaffata di pesce marcio e vide ombre oscure che
strisciavano sotto una luna impossibile.
Con un
supremo sforzo di volontà, si allontanò gemendo dall'intreccio di segni.
Stregoneria della
peggior specie, si disse. Doveva comunque concludere la sua indagine, anche se
la responsabile più probabile era scomparsa. Non poteva deludere Papa Gregorio,
a rischio di essere rimosso dal suo incarico, e di essere mandato a finire i
suoi giorni in qualche sudicio convento domenicano ai margini della
cristianità, attorniato da frati imbecilli e lascivi, privo anche dei diritti
d'autore del suo manuale. Con la manica della veste, cancellò rapidamente i
simboli demoniaci. Si chiuse alle spalle la porta della cella, e risalì verso
la stanza delle torture.
Al suo ingresso, il
Governatore lo osservò con aria crucciata.
"Padre
Eymerich," disse, "io non so a che ora siete soliti cenare voialtri
domenicani, ma si sta facendo tardi..."
"Lo so,"
rispose Eymerich, "il vostro cinghialetto. Ma non preoccupatevi, la mia
indagine è quasi conclusa "
"Molto bene,"
mormorò il Governatore. "Il Papa mi ha infatti parlato molto bene di
voi... se avete da bruciare qualcuno, potete usare le stesse cataste di legna
che usiamo per cucinare... quindi... ehm... comunque, dicevo, cos'avete
scoperto?"
"Purtroppo," scandì Eymerich, corrucciato, "le serpi si
annidano dappertutto, e spesso indossano la maschera della virtù."
"Padre
Jari," aggiunse, "venite qui, vi prego."
Il grasso frate si
avvicinò saltellando, con una certa riluttanza.
"Dite
Magister... avete scoperto qualcosa nella cella di quella giudea?" domandò
con voce flebile.
"Vi rendete
certo conto," disse Eymerich, “che la donna non può essere fuggita senza
un complice, non è vero?"
Padre Jari impallidì.
"Ma... Magister..."
bisbigliò, "non sospetterete certo di me, vero? Io sono un religioso!"
"Io non vedo
altro che un domenicano che disonora il suo ordine," scandì Eymerich,
soddisfatto, "e non mi meraviglierebbe se tale domenicano avesse commerci
poco chiari con il Maligno, per soddisfare i suoi appetiti carnali che, cosa che
può essere confermata da varie testimonianze, sono senza misura!"
"Magister!"
mormorò Padre Jari, sudando copiosamente, "non direte sul serio!"
"Cos'avete,
nascosto nel cappuccio?" domandò Eymerich, in tono innocente.
Padre Jari gli lanciò
un'occhiata smarrita e rovesciò il cappuccio. Il piccolo monile rimbalzò
sonoramente sul pavimento, fermandosi sotto lo scranno del Governatore.
Eymerich to raccolse,
compiaciuto.
"Bene,
bene," disse, "ecco la prova della vostra depravazione. Un simbolo
demoniaco."
Padre Jari
si inginocchiò a abbracciò le ginocchia di Eymerich.
"Vi giuro che non
l'ho mai visto!" protestò, " sono innocente!" Eymerich si scostò,
infastidito.
"Qualcuno deve
pagare," mormorò a bassa voce, in modo di farsi udire dal solo frate,
"per la maggior gloria del Signore."
"Vedo che ci
sono nuovi sviluppi," intervenne il Governatore, "vogliamo procedere?"
"Cominciamo la
tortura," disse Eymerich.
Domino (4)
Finalmente il
gruppo raggiunse la cima di una collina che dominava l’isola. Avevano marciato
per oltre otto ore, ed erano tutti allo stremo delle forze.
L'uomo
vestito di nero fece un cenno con il braccio. "Ora saprete perchè siamo
qui," disse.
I soldati
del KKK si scambiarono occhiate perplesse, borbottando a bassa voce.
"Ehm...dunque..."
cominciò, l'Animus e l'Anima... poi... insomma... l'Ombra e il Mandala... la
Sincronicità, soprattutto..."
L'ufficiale della
pattuglia, nientemeno che il Ciclope responsabile del Klan in tutti gli stati
del sud, gli diede un buffetto sulla guancia.
"Suvvia,
Professor Shaker," disse con lieve inflessione ironica, "vedo che
avete un pò esagerato con 1'ottimo whisky della Confederazione."
"Ehm... in
effetti... dunque... se noi concentriamo la nostra energia Psico‑Evocativa
attraverso queste tre medium," disse Shaker indicando le ragazze, "possiamo...
dunque... evocare un Archetipo... bisogna fare attenzione a non evocare la
Grande Madre... comunque..."
I soldati to
fissavano, sbalorditi.
"Tu ci hai
capito qualcosa? " domandò uno.
"Tutte
cazzate," rispose l'altro. Ma cominciava a manifestare chiari segni di
nervosismo.
"Professore,"
lo interruppe l'ufficiale, "lasci continuare me." Si voltò verso i
soldati con un sorrisetto benevolo.
"Noi abbiamo la
possibilità di annientare quei sudici ribelli comunisti, anarchici e senza
Dio," disse. "Dieci anni fa, semisepolta tra le rovine di un antico
castello in Spagna, nei pressi di Gerona, uno dei nostri Commando ha trovato
questa statuetta."
Aprì il suo zaino da
combattimento, e ne estrasse una statuina, che mostrò all'uditorio. I soldati
rabbrividirono. Non era piacevole da guardare.
"Il nostro
professore, al centro di ricerche di Atlanta, l'ha studiata per anni, assieme
ai suoi collaboratori. Finalmente è riuscito a collegarla ad un vecchio libro
polveroso che, fosse per me, brucerei in piazza insieme a tutta l'altra
robaccia che travia le menti dei giovani Americani. Comunque crediamo che si
tratti di un'entità quasi sconosciuta a molto antica e, con le nostre ultime
ricerche nel campo della Psico‑Evocazione, siamo certi di poterla asservire ed
usarla come arma finale, nella lotta che stiamo conducendo. Ci sono domande?
"
I soldati
accarezzarono nervosamente i fucili da assalto.
"Non sarà
pericoloso?" chiese uno.
L'ufficiale estrasse
la pistola a gli fece un buco in testa. L'uomo si accasciò, senza emettere
alcun suono.
"I soldati del
Klan non conoscono la paura!" esclamò, "Ci sono altre domande?"
Nessuno rispose.
Il professor Shaker
si pulì gli occhiali schizzati di sangue con la manica della giacca.
"Possiamo cominciare,"
disse.
Le tre donne si
disposero a triangolo intorno a lui, mentre i soldati formarono un cerchio
esterno.
"Questa
figura", disse Shaker, “è un Mandala sognato da Jung a Zurigo nel 1913,
dopo una forte bevuta di Schnapps. È considerata particolarmente propizia per
le Psico‑Evocazioni."
Diede un segnale alle
tre donne e, all'unisono, presero a borbottare parole in una strana lingua,
prima sommessamente, poi con tono sempre più acuto. Si levò subito un vento
violentissimo, che conduceva con sè un olezzo insopportabile di alghe in
putrefazione. Grosse nuvole oscurarono il cielo, fino ad un attimo prima
sereno, e cominciò improvvisamente a piovere. D'un tratto al centro del Mandala
si creò un fortissimo mulinello di vento a polvere, tanto che il professore fu
costretto ad arretrare. 1 soldati spianarono i fucili, impauriti.
Tutti videro
chiaramente un figura femminile, che indossava una veste lacera e strappata,
materialiazarsi lentamente. Prima era solo un'ombra, poi acquistò corpo a
materia. Aprì gli occhi a li guardò.
Shaker la fissava con
gli occhi sgranati, tenendo davanti a sè la statuetta, come fosse uno scudo.
"Siete bizzarramente
abbigliati," disse la donna. "Chi siete?"
Il professore cercò
di parlare, ma dalla gola non uscì alcun suono. Deglutì affannosamente e
protese la statuetta verso la donna.
"Oh,capisco,"
disse Rebecca, "ma state sbagliando l'intonazione e tutti gli accenti.
Dovete dire: ph'nglui mglw' naflh Cthulhu R' lyeh wgah' nagl fhtagn!"
VI
Eymerich
guardò compiaciuto il grosso rogo approntato nel cortile del castello. Su due
ordini di gradinate, appositamente costruite per 1'occasione, sedevano il
Governatore ed i nobili a notabili del luogo.
Padre Jari, con la
veste bianca dei condannati, giaceva semisvenuto tra le due serve, legato ad un
palo. Non lo aveva fatto torturare a lungo, era pur sempre un confratello, ma
aveva dovuto, a malincuore, fargli tagliare la lingua perchè non si
abbandonasse a dichiarazioni dissennate. Eymerich si accertò che le guardie
fossero pronte, con le torce impregnate di resina ben accese, e si portò tra le
gradinate e la catasta di legna.
"Padre Eymerich,"
biascicò iI Governatore un pò incerto, come se avesse mandato il discorso a
memoria, "noi vi siamo grati di aver estirpato da questo castello un... uhmm...
un pericoloso culto diabolico. Abbiamo informato Gregorio IX del vostro
successo, ed egli vi abbraccia nel nome del... ehmm... accidenti... ah, sì, nel
nome del Signore. Vi manda inoltre a dire che avrete il suo imprimatur per il
vostro manuale."
Eymerich annuì con il
capo, soddisfatto.
"La cosa che più
mi rammarica," rispose, "è di aver trovato a capo di queste
abominevoli pratiche un individuo del mio stesso ordine. Ma tant'è, Satana gode
a tormentare proprio gli spiriti più puri."
Padre Jari alzò la
testa e lo fissò, strabuzzando gli occhi. Eymerich mostrò la malevola statuetta
al Governatore.
"Questa odiosa
immagine mostra il demone che quegli eretici adoravano,"disse.
"Pretendo che venga murata per sempre in un luogo nascosto nelle segrete
del castello."
"Sarà fatto, non
temete," rispose il Governatore, "ora, non per mettervi fretta, ma è
quasi ora di cena..."
Eymerich fece un
cenno alle guardie, che immediatamente diedero fuoco alle fascine. II leggero
alito di vento che spirava sul cortile alimentò subito il fuoco, e in un attimo
i tre condannati furono avvolti dalle fiamme.
Domino (5)
Nella terra
si avvertì un tremito a nel suolo si crearono sottili spaccature, mentre la
pioggia scrosciava con violenza, creando piccoli ruscelletti nella polvere.
"Non spezzate il
Mandala!" urlò Shaker, che pure si manteneva in piedi a fatica, sotto le
raffiche di vento, "Continuate il canto!!!"
Si avvertì un boato
e, dall'alto della collina, tutti videro le acque dell'oceano che ribollivano,
mentre onde sempre più alte sferzavano la scogliera. I soldati furono i primi a
sbandare, alcuni furono gettati a terra dalle scosse del terreno, altri , presi
dal panico, spianarono le armi con uno sguardo folle da animali braccati. II
professore a le medium continuavano a salmodiare quelle sillabe aliene, mentre
una struttura ciclopica e dalla geometria incomprensibile, affiorava dal fondo
dell' oceano. Poi, da quelle rovine grondanti acqua salmastra e pesci
boccheggianti, emerse qualcosa di enorme e tentacolato.
"Eccolo!"
gridò 1'ufficiale, "la nostra arma decisiva! Che sarà costretto ad
ubbidirci e..."
Non aveva ancora
finito di parlare, che un tentacolo grosso come una quercia e gremito di
piccole bocche si attorcigliò attorno ad alcuni soldati, spezzandogli le colonne
vertebrali come fuscelli e spappolandogli gli organi interni. Un groviglio di intestini
ancora caldo lo colpì in piena faccia, scivolandogli lungo la divisa con un
sinistro rumore di sciacquio.
"Professore!
" urlò, sparando freneticamente verso la cosa, "non avevate detto
che..."
Una pallottola di
rimbalzo gli portò via la parte inferiore della mascella. Perplesso, cercò di
accertarsi dell'entità della ferita e cadde rantolando. La cosa continuava ad
avanzare, ed era così enorme che non se ne vedeva la fine.
I soldati superstiti
urlavano come impazziti.
"Che cazzo è
quello?" baibettò uno dei soldati.
"Dev'essere un
comunista!" urlò l'altro, "Spara! Spara!"
Tentò di lanciare una
granata, ma quella gli scoppiò in mano, facendolo a brani. A quel punto anche
le medium persero il controllo a cercarono un impossibile scampo tra gli
alberi, che barcollavano sotto i colpi dell'uragano.
"Com'è
possibile?" gridò il dottore, céreo in viso, "la nostra Psico‑Energia
lo ha evocato, e dovremmo essere in grado di controllarlo!"
Rebecca lo osservò
con disprezzo.
"Lei non ha
letto Houellebecq, immagino," disse.
"Chi?" disse
il dottore, "Che ha detto?"
"Quell'essere,"
spiegò Rebecca, pazientemente, "è l'incarnazione delle paure primordiali
che infestano le coscienze di gente come voi: razzismo, odio, xenofobia...Come
potete pensare di controllarlo? Ora scusate, ma devo lasciarvi, sento un
richiamo proveniente da una persona cui tengo molto, e quindi ..."
La donna sfavillò per
un attimo, poi scomparve, lasciando un lieve tremolìo nell'aria…
Il professore era
paralizzato dal terrore: la radura era coperta di corpi smembrati, e il fetore
era sempre più soffocante. Quando la grossa massa si abbassò su di lui non
riuscì neanche a urlare.
VII
Eymerich si
distese sul pavimento e si avvolse nel mantello. Era stata una giornata
veramente dura ma, quando il gioco si faceva duro, gli Inquisitori cominciavano
a giocare. Dopo poco si addormentò, e fece uno strano sogno, così vivido come
non ricordava dai tempi della sua lotta con Roquetaillade: si trovava in un deserto
nell'Arabia Meridionale, e sapeva oscuramente di essere tornato di molti secoli
indietro nel tempo. Era camuffato da infedele, e stava braccando un immondo
negromante, di nome Abdul Al Hazred, il quale correva proprio davanti a lui.
Come spesso capita nei sogni, si muoveva molto lentamente e non riusciva a
raggiungerlo. Anzi, quello ogni tanto si voltava, sussurrava qualcosa in una
lingua incomprensibile, e gli faceva un gestaccio che aveva già notato in
Vaticano, detto "dell'ombrello". Poi il sogno cambiò e vide un demone
orrendo che massacrava un gruppo di uomini con strane uniformi, ed armi che non
aveva mai visto. Poi cambiò ancora, ed egli vide Rebecca che veniva verso di
lui, e si trovarono ad accoppiarsi in molti modi che, fino ad allora, avrebbe
giudicato impossibili.
"Oh,
Nicolas," gli diceva lei, "adoro le vostre quaestio..."
Si svegliò all'alba,
sentendosi debole e spossato. Mah, si disse, ieri sera devo aver mangiato
troppo cinghialetto.